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Le edicole a Napoli: commistione di sacro e profano

Sapete quando e perché nascono le edicole sacre, a Napoli? La città ne è piena, ce ne sono migliaia. Eppure, inizialmente, questi altarini non erano luoghi di culto, ma avevano la funzione di illuminare i vicoli.
L'idea fu di un parroco domenicano di Massa Lubrense, Padre Gregorio Maria Rocco, e nacque, un po' come tutte le tradizioni napoletane, da una reale necessità: illuminare i vicoli. All'epoca, infatti, e parliamo del Settecento, nel periodo borbonico, le strade erano buie, e c'era il pericolo dei furti.
Il parroco, allora, pensò di sistemare sui muri alcune immagini della Madonna. Sapeva, infatti, che i fedeli le avrebbero illuminate con le candele. È proprio in questa occasione, pare, che sia nato il modo di dire, diventato poi comune in napoletano, “C''a Maronna t'accumpagne!”, un augurio dato a chi iniziava il suo percorso di viandante.

Padre Rocco, quindi, in realtà crea la prima opera di street art.

Con il passare del tempo, poi, le edicole divennero dei veri e propri luoghi di culto, dedicati non solo alla Madonna, ma anche agli atri santi. Di questi luoghi di culto non si occupavano tanto le istituzioni, bensì le famiglie del quartiere.

A Napoli la maggior parte delle edicole riporta come data di fondazione l'anno 1884, perché i napoletani le dedicarono ai santi, come una sorta di ex voto, per essersi salvati dall'epidemia di colera). Molte furono danneggiate dai bombardamenti del 1943, anno in cui la città venne devastata prima dagli americani e in seguito dai tedeschi, per poi mettere fine alla guerra scacciando le truppe tedesche durante le Quattro Giornate (27 settembre - 1 ottobre 1943). Riportano anche la data del restauro, che per molte edicole avvenne tra il 1945 e il 1947. E generalmente chi paga per il restauro è una famiglia del quartiere, oppure dei singoli abitanti, che si firmano con i loro soprannomi, come accade per una delle edicole sacre nei quartieri spagnoli, della quale si occupano “Titinella e Spalluzzella”.

Spesso, all'interno di un'edicola, troviamo anche le immagini dei defunti della famiglia che l'ha fatta costruire, affinché quelle povere anime vengano protette dal santo. E troviamo anche degli ex voto, gli oggetti d'argento che generalmente si lasciano ai santi in segno di devozione.

Ma osserviamo anche la struttura, di questi altarini: a cosa somigliano? Il termine “edicola” deriva da “aedes”, che significa “tempio”. In effetti, nelle domus romane antiche esistevano già questi tempietti, dedicati ai lari, entità protettrci della casa. Era, quello dei lari e dei penati, un culto simile a quello delle divinità, ma più intimo, più “familiare”. Ecco, un po' come le edicole sacre.

Oggi a Napoli ci sono tante edicole anche profane, come quelle dedicate a Maradona o a Totò.

C'è poi, tra tutte, la mia edicola preferita. È quella che si trova di fronte al Pallonetto Santa Chiara, all'incrocio con via Santa Chiara. Lì le due dimensioni – sacro e profano – sono presenti entrambe, grazie a un poster di Pulcinella, un'opera di street art del fotografo Fabio Calvetti. Su instagram il suo nickname è “olossolo”, le sue foto di uno spettacolo di Pulcinella sono sui muri napoletani, perfettamente in sintonia con il contesto.

Il Pulcinella in via Santa Chiara sembra rivolgersi alla Madonna dell'edicola come un mendicante, come uno che chiede qualche spicciolo. E, se ci pensate, quando chiediamo qualcosa ai santi, non assumiamo, più o meno, lo stesso atteggiamento?


Sapete quando e perché nascono le edicole sacre, a Napoli? La città ne è piena, ce ne sono migliaia. Eppure, inizialmente, questi altarini non erano luoghi di culto, ma avevano la funzione di illuminare i vicoli.
L'idea fu di un parroco domenicano di Massa Lubrense, Padre Gregorio Maria Rocco, e nacque, un po' come tutte le tradizioni napoletane, da una reale necessità: illuminare i vicoli. All'epoca, infatti, e parliamo del Settecento, nel periodo borbonico, le strade erano buie, e c'era il pericolo dei furti.
Il parroco, allora, pensò di sistemare sui muri alcune immagini della Madonna. Sapeva, infatti, che i fedeli le avrebbero illuminate con le candele. È proprio in questa occasione, pare, che sia nato il modo di dire, diventato poi comune in napoletano, “C''a Maronna t'accumpagne!”, un augurio dato a chi iniziava il suo percorso di viandante.

Padre Rocco, quindi, in realtà crea la prima opera di street art.

Con il passare del tempo, poi, le edicole divennero dei veri e propri luoghi di culto, dedicati non solo alla Madonna, ma anche agli atri santi. Di questi luoghi di culto non si occupavano tanto le istituzioni, bensì le famiglie del quartiere.

A Napoli la maggior parte delle edicole riporta come data di fondazione l'anno 1884, perché i napoletani le dedicarono ai santi, come una sorta di ex voto, per essersi salvati dall'epidemia di colera). Molte furono danneggiate dai bombardamenti del 1943, anno in cui la città venne devastata prima dagli americani e in seguito dai tedeschi, per poi mettere fine alla guerra scacciando le truppe tedesche durante le Quattro Giornate (27 settembre - 1 ottobre 1943). Riportano anche la data del restauro, che per molte edicole avvenne tra il 1945 e il 1947. E generalmente chi paga per il restauro è una famiglia del quartiere, oppure dei singoli abitanti, che si firmano con i loro soprannomi, come accade per una delle edicole sacre nei quartieri spagnoli, della quale si occupano “Titinella e Spalluzzella”.

Spesso, all'interno di un'edicola, troviamo anche le immagini dei defunti della famiglia che l'ha fatta costruire, affinché quelle povere anime vengano protette dal santo. E troviamo anche degli ex voto, gli oggetti d'argento che generalmente si lasciano ai santi in segno di devozione.

Ma osserviamo anche la struttura, di questi altarini: a cosa somigliano? Il termine “edicola” deriva da “aedes”, che significa “tempio”. In effetti, nelle domus romane antiche esistevano già questi tempietti, dedicati ai lari, entità protettrci della casa. Era, quello dei lari e dei penati, un culto simile a quello delle divinità, ma più intimo, più “familiare”. Ecco, un po' come le edicole sacre.

Oggi a Napoli ci sono tante edicole anche profane, come quelle dedicate a Maradona o a Totò.

C'è poi, tra tutte, la mia edicola preferita. È quella che si trova di fronte al Pallonetto Santa Chiara, all'incrocio con via Santa Chiara. Lì le due dimensioni – sacro e profano – sono presenti entrambe, grazie a un poster di Pulcinella, un'opera di street art del fotografo Fabio Calvetti. Su instagram il suo nickname è “olossolo”, le sue foto di uno spettacolo di Pulcinella sono sui muri napoletani, perfettamente in sintonia con il contesto.

Il Pulcinella in via Santa Chiara sembra rivolgersi alla Madonna dell'edicola come un mendicante, come uno che chiede qualche spicciolo. E, se ci pensate, quando chiediamo qualcosa ai santi, non assumiamo, più o meno, lo stesso atteggiamento?


Street art a Montesanto, gli animali di Ericailcane e Sardomuto

Ericailcane è lo pseudonimo di Leonardo, uno street artist italiano originario di Belluno, che ha lavorato in tutto il mondo e anche qui a Napoli.
La caratteristica principale dei suoi murales, come potete vedere dalle immagini, è che gli animali vengono rappresentanti nei minimi dettagli e "umanizzati", e quindi assumono un effetto straniante. Le loro movenze, le espressioni e gli atteggiamenti sono quelli di un essere umano.
I murales sono generalmente abbastanza grandi, e sono proprio le dimensioni spropositate (molto maggiori di quelle reali) a conferire una nota inquietante.
Ericailcane ha collaborato diverse volte con Blu, e anche con Bastardilla, con la quale ha realizzato anche un murales a Medolla - come commemorazione del terremoto avvenuto in Emilia Romagna nel 2012 - in cui alcuni topolini si danno da fare per ricucire la terra devastata.
A Napoli, nella zona di Montesanto/della Pignasecca troviamo due grandi murales, dipinti direttamente sul muro, per i quali ha collaborato con lo street artist Sardomuto
Il primo si trova alle spalle di piazza Dante, e sono raffigurati tre personaggi: un gatto e un uccellino che mantengono una vaschetta che contiene un pesciolino rosso, cercando di evitare possibili fuoriuscite d'acqua con dei tappi di sughero. Il gatto guarda il pesciolino, l'uccello, invece, fissa lo spettatore. Entrambi, però, hanno un atteggiamento che risulta insolito, per la loro natura. Ci aspetteremmo che si lanciassero entrambi sul pesce rosso per mangiarlo, e invece lo proteggono, salvandolo dalla morte per asfissia. Il murales è stato dedicato a Mattia Fagnoni, un bambino di sette anni e mezzo, purtroppo deceduto a causa della sindrome di Sandhoff. L'associazione Mattia Fagnoni ONLUS raccoglie fondi per supportare i bambini che soffrono di malattie rare, un altro murales dedicato al piccolo, in città, è quello in piazza Pignasecca, realizzato da Diavù. 
Nel murales di Ericailcane e Sardomuto, l'atteggiamento di protezione dei due animali indica la solidarietà nei confronti dei più deboli, che non hanno armi sufficienti per difendersi.

Nel murales in via Pasquale Scura, invece, ci sono due uccelli, uno più grande e l'altro più piccolo, e anche loro sono rappresentati nei minimi dettagli e con espressioni umane. 
Si fa riferimento alle leggende che spiegano l'etimologia del termine "Pignasecca", il mercato della zona. Si narra, infatti, che quando Pedro da Toledo fece costruire la famosa strada militare, dovette sventrare le zone circostanti, e rimase soltanto un pino come nido delle gazze ladre. Gli abitanti della zona provarono a cacciare gli uccelli, ma il pino improvvisamente rinsecchì. 
Una seconda versione della leggenda è molto più fantasiosa, ma anche più intrigante: la zona alle spalle di via Toledo era, all'epoca, occupata dal bosco di Biancomangiare, della proprietà della famiglia Pignatelli di Monteleone. Le gazze ladre, all'epoca, entravano nelle abitazioni dei nobili e del clero, e portavano sulla cima dei pini del bosco gli oggetti che avevano rubato nelle case. Spesso, però, questi oggetti servivano da testimonianza per la lussuria in vigore all'epoca, anche tra i rappresentanti del clero, e quindi gli abitanti della zona iniziarono a spettegolare su ciò che accadeva nella zona. Il vescovo decise, allora, di scomunicare le gazze ladre, ma pian piano, dopo l'emanazione della bolla di scomunica, tutti i pini iniziarono a rinsecchire, uno dopo l'altro. 
Nel murales sono raffigurate le due gazze ladre che lottano per il bottino. 

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Napoli ha aperto le sue porte, soprattutto nell'ultimo decennio, alla street art. 
Per scoprire i murales della zona di Montesanto e dei quartieri spagnoli, puoi prenotare un tour di street art a questo link.



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Toledo, la metro più bella d'Europa. E la più inaccessibile

Quartieri spagnoli, Piazza Montecalvario, metro Toledo.

La porta che vedete in foto è chiusa dal primo lockdown, dal covid.
Sapete cosa c'è al di là di quella porta? Probabilmente molte persone non lo sanno, perché non l'hanno mai vista aperta. Ebbene sì, perché già dal 2014, quando è stata aperta la metro Toledo, ossia quella decantata come la metro più bella d'Europa, questo ingresso qui è stato quasi sempre chiuso nei fine settimana.

Direte: "poco male, l'entrata principale della metro si trova a due passi da lì, su via Toledo".
E no, perché al di là di quella saracinesca chiusa c'è un mosaico di Francesco Clemente ("Engiadina"), e nell'area oggi chiusa ci sono tantissime opere d'arte di artisti contemporanei, chiamati per il grande progetto della stazione Toledo.
In pratica, se oggi vogliamo visitare la stazione della metro più bella d'Europa, ne possiamo visitare solo la metà.

Perché a Napoli abbiamo talmente tante opere d'arte, che ci permettiamo il lusso di tenerle chiuse, e ben nascoste.

Signori, questo è il danno che abbiamo oggi da questa chiusura. Dico "che abbiamo oggi", perché quando invece l'ingresso di Montecalvario è stato chiuso, perché considerato "secondario", evidentemente, rispetto a quello di via Toledo, il danno era molto più consistente.

Sapete a quando risale il progetto delle stazioni dell'arte, a Napoli? Al 1995.
Ci entravate nei quartieri spagnoli, nel 1995?
E quando è stata aperta la metro Toledo, nel 2014, ci entravate così spesso?
Probabilmente no.
Ricordo, una quindicina di anni fa (ma anche meno) tutti i turisti, nonché i napoletani, fermi su via Toledo a fotografare la prospettiva dei vicoletti, che salgono fin sul Corso Vittorio Emanuele, con lo sfondo della Certosa.

Un'immagine molto "instagrammabile", come qualcuno direbbe oggi.
Ma guai ad entrare nei quartieri spagnoli! "Sono pericolosi", si sentiva dire in giro.

Bene, nel 1995, e ancora nel 2014, quel passaggio sotterraneo, voluto come "museo obbligatorio" era un accesso nei quartieri. Era un voler incitare la gente a visitare tutto il tunnel della metro, e da via Toledo, nella "Napoli di sotto", tra mura aragonesi, olas, canal de luz e mosaici, sbucare, infine, proprio nei quartieri. Lì, a piazzetta Montecalvario, dove la Certosa, per un effetto ottico, ci sembra ancora più vicina. Proprio lì avremmo trovato i murales di Cyop&Kaf, le lanterne di Dalisi, a due passi il Teatro Nuovo, ad accoglierci.

E magari ci saremmo resi conto che questi quartieri una passeggiata tra i vicoli, quantomeno da parte dei napoletani, se la meritavano, eccome se se la meritavano.

"È cose 'e niente". Ce la facciamo anche da soli. Forse.
Ce la siamo sempre vista da soli, e così deve andare.

(In foto, l'uscita Montecalvario della stazione Toledo della metro 1, con il murales di Zeal off e di They live, per il 35esimo anniversario del progetto al quale partecipò il poster di John Mc Connel - per l'immagine culturale della città di Napoli).

I diritti delle donne nella street art napoletana: da Whatifier a Cassandra.parla

Sui muri del centro storico di Napoli riecheggiano le urla di rivendicazione dei diritti delle donne. 

Whatifiier, di cui ho già parlato qui, utilizza come sfondi per i suoi messaggi al femminile le donne dei dipinti di Modigliani, di Tamara Lempicka, di Klimt, di Botticelli e di altri artisti del passato. La street artist non ha lasciato i suoi poster solo a Napoli, ma anche in altre città come Firenze. Pertanto, la lingua che ha scelto per divulgare i suoi messaggi è l'inglese: Smash the patriarchy (Distruggi il patriarcato), My body my choice (Mio il corpo, mia la scelta), No means no (No significa no), Sexism is an issue (Il sessismo è un problema)...

Analogo il contenuto, ma diversi la forma e il target del progetto di Cassandra.parla , i cui messaggi sono in napoletano. Bella 'mbriana, Song' 'na malafemmina, 'O core se da a chi s''o sape tene' (il cuore si dà a chi se lo sa tenere), L'ammore fa passa' 'o tiempo e 'o tiempo fa passa' l'ammore (l'amore fa passare il tempo e il tempo fa passare l'amore) sono alcune delle frasi sui poster della street artist Emanuela Auricchio. 
Cassandra è il suo alter ego, perché Cassandra nella mitologia greca era colei che, pur prevedendo il futuro, era condannata, in sostanza, al silenzio, perché nessuno la ascoltava, nessuno le credeva. Un personaggio al quale Emanuela ha ridato voce, con le sue opere di street art, sui muri dei vicoli napoletani. 
Le donne sono disegnate proprio da lei, uno dei suoi murales è dedicato a Masha Amini, la ragazza arrestata dalla polizia iraniana per non aver indossato correttamente l'hijab, e poi morta tre giorni dopo, probabilmente a causa di un pestaggio effettuato proprio dalle forze dell'ordine. 
Su un altro murales, a Port'Alba, lascia uno spazio bianco, dove invita lo spettatore a scrivere una frase. 

I poster delle due street artist si uniscono ai messaggi di #lediesis, Ogni donna una Madonna, Mp5 e tanti altri, che avevano, già in passato, testimoniato a favore dei diritti al femminile. 
 
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Se vuoi prenotare uno street art tour alla scoperta dei murales nel centro antico o negli altri quartieri di Napoli, puoi farlo contattarmi qui


Rione Sanità e quartieri spagnoli: le promesse non mantenute

Promesse non mantenute (1 e 2) :
Se andate nel rione Sanità a vedere Palazzo dello Spagnolo, il gioiellino settecentesco, noterete probabilmente che tutte le porte delle abitazioni hanno delle decorazioni in stucco, con riproduzioni di figure femminili. Tutte, tranne una. Una sulla quale troviamo un volto molto noto a noi napoletani, e in particolare agli abitanti del Rione Sanità, che diede i natali a questo grandissimo attore: il principe Antonio de Curtis, in arte Totò.
Il busto di Totò salta all'occhio, ciò che invece noterà solo uno sguardo attento sarà la serie di necrologi attaccati sui muri, dedicati sempre a Totò. Ma non per la sua morte, bensì per la sua seconda morte, e cioè per il museo, dedicato alla sua persona, negato dalle istituzioni. La promessa di istituire un museo dedicato al tanto amato attore all'interno di Palazzo dello Spagnuolo, infatti, risale a decenni fa. È stata fatta, ma non è stata mai mantenuta.
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La seconda promessa non mantenuta riguarda la metro Toledo, quella che è stata dichiarata la più bella d'Europa. I turisti probabilmente non ricordano il progetto iniziale, i napoletani sicuramente sì, perché all'epoca la stazione della metro fu pubblicizzata, come si dice a Napoli, a destra e a manca.
Il progetto delle stazioni della metro dell'arte risale al 1995, la prima tratta aperta fu "Dante-Vanvitelli". Ricordo ancora il mio primo giro in metropolitana, con mio padre, era qualcosa di completamente nuovo!
Nel corso degli anni, poi, sono state aperte nuove fermate, tutte (o la maggior parte) arricchite da opere di artisti contemporanei. Ma a cosa serve inserire delle opere d'arte nelle metropolitane? Beh, serve, eccome se serve! Serve perché, in questo modo, si "obbliga" il viaggiatore a un percorso di bellezza. Il passaggio nelle metropolitane è stato pensato proprio come un "museo obbligatorio".
Inaugurata nel 2012, la stazione Toledo catturò subito l'attenzione dei critici d'arte e dei giornalisti, il quotidiano "The Daily Telegraph" la dichiarò la più bella d'Europa. La stazione, infatti, progettata da Óscar Tusquets Blanca, artista catalano, vanta la presenza di opere di nomi del calibro di William Kentridge, Bob Wilson, Oliviero Toscani, Francesco Clemente, e tanti altri. L'immagine che pubblico in questo post è un'opera presente nella metro Toledo, della fotografa Shirin Neshat. Si intitola "Il teatro è vita. La vita è teatro – Don’t ask where the love is gone". La conoscete? L'avete vista? Mi auguro per voi di sì, perché altrimenti non potete vederla. Non potete vederla, così come non potrete vedere le opere di Francesco Clemente, Oliviero Toscani, Lawrence Weiner e Ilya ed Emilia Kabakov, e sapete perché? Perché il lato della stazione metro che le ospita, con la relativa uscita della metro Montecalvario, è chiuso!
L'uscita Montecalvario si trova in piazzetta Montecalvario, nel cuore dei quartieri spagnoli. Se andate oggi nei quartieri, il fatto che ci fosse un'altra uscita della metropolitana così vicina a quella di via Toledo vi potrebbe anche sembrare una cosa inutile, perché adesso i quartieri sono diventati turistici, grazie ad una serie di iniziative dal basso, come le associazioni e le attività di ristorazione.
All'epoca del progetto della metro, però, non era così. I quartieri erano considerati pericolosi, non solo i turisti, ma anche i napoletani stentavano ad entrarci. Li vedevi spesso con le loro fotocamere su via Toledo, intenti a riprendere da lontano gli scorci dei vicoli. Quindi, costruire un passaggio sotterraneo che potesse spingere i napoletani e i turisti a completare il percorso espositivo della metro Toledo, e che li potesse accompagnare fino all'uscita Montecalvario, nei quartieri, era un progetto socialmente utile, addirittura rivoluzionario. L'urbanistica incide sul territorio, e incide sugli aspetti sociali del territorio.
Purtroppo, già dall'inizio la promessa di un'"inclusione" dei quartieri spagnoli nei percorsi turistici venne disattesa dalla mancanza di personale in metropolitana. L'uscita Montecalvario, infatti, restava sempre chiusa nel weekend, proprio a causa di mancava di personale. Dopo il primo lockdown dovuto al covid, hanno deciso di chiuderla definitivamente, e oggi se ci si reca in piazzetta Montecalvario, si vede solo l'insegna della metro, con l'ingresso sbarrato.

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Le edicole a Napoli: commistione di sacro e profano

Sapete quando e perché nascono le edicole sacre, a Napoli? La città ne è piena, ce ne sono migliaia. Eppure, inizialmente, questi altarini non erano luoghi di culto, ma avevano la funzione di illuminare i vicoli.
L'idea fu di un parroco domenicano di Massa Lubrense, Padre Gregorio Maria Rocco, e nacque, un po' come tutte le tradizioni napoletane, da una reale necessità: illuminare i vicoli. All'epoca, infatti, e parliamo del Settecento, nel periodo borbonico, le strade erano buie, e c'era il pericolo dei furti.
Il parroco, allora, pensò di sistemare sui muri alcune immagini della Madonna. Sapeva, infatti, che i fedeli le avrebbero illuminate con le candele. È proprio in questa occasione, pare, che sia nato il modo di dire, diventato poi comune in napoletano, “C''a Maronna t'accumpagne!”, un augurio dato a chi iniziava il suo percorso di viandante.

Padre Rocco, quindi, in realtà crea la prima opera di street art.

Con il passare del tempo, poi, le edicole divennero dei veri e propri luoghi di culto, dedicati non solo alla Madonna, ma anche agli atri santi. Di questi luoghi di culto non si occupavano tanto le istituzioni, bensì le famiglie del quartiere.

A Napoli la maggior parte delle edicole riporta come data di fondazione l'anno 1884, perché i napoletani le dedicarono ai santi, come una sorta di ex voto, per essersi salvati dall'epidemia di colera). Molte furono danneggiate dai bombardamenti del 1943, anno in cui la città venne devastata prima dagli americani e in seguito dai tedeschi, per poi mettere fine alla guerra scacciando le truppe tedesche durante le Quattro Giornate (27 settembre - 1 ottobre 1943). Riportano anche la data del restauro, che per molte edicole avvenne tra il 1945 e il 1947. E generalmente chi paga per il restauro è una famiglia del quartiere, oppure dei singoli abitanti, che si firmano con i loro soprannomi, come accade per una delle edicole sacre nei quartieri spagnoli, della quale si occupano “Titinella e Spalluzzella”.

Spesso, all'interno di un'edicola, troviamo anche le immagini dei defunti della famiglia che l'ha fatta costruire, affinché quelle povere anime vengano protette dal santo. E troviamo anche degli ex voto, gli oggetti d'argento che generalmente si lasciano ai santi in segno di devozione.

Ma osserviamo anche la struttura, di questi altarini: a cosa somigliano? Il termine “edicola” deriva da “aedes”, che significa “tempio”. In effetti, nelle domus romane antiche esistevano già questi tempietti, dedicati ai lari, entità protettrci della casa. Era, quello dei lari e dei penati, un culto simile a quello delle divinità, ma più intimo, più “familiare”. Ecco, un po' come le edicole sacre.

Oggi a Napoli ci sono tante edicole anche profane, come quelle dedicate a Maradona o a Totò.

C'è poi, tra tutte, la mia edicola preferita. È quella che si trova di fronte al Pallonetto Santa Chiara, all'incrocio con via Santa Chiara. Lì le due dimensioni – sacro e profano – sono presenti entrambe, grazie a un poster di Pulcinella, un'opera di street art del fotografo Fabio Calvetti. Su instagram il suo nickname è “olossolo”, le sue foto di uno spettacolo di Pulcinella sono sui muri napoletani, perfettamente in sintonia con il contesto.

Il Pulcinella in via Santa Chiara sembra rivolgersi alla Madonna dell'edicola come un mendicante, come uno che chiede qualche spicciolo. E, se ci pensate, quando chiediamo qualcosa ai santi, non assumiamo, più o meno, lo stesso atteggiamento?


Sapete quando e perché nascono le edicole sacre, a Napoli? La città ne è piena, ce ne sono migliaia. Eppure, inizialmente, questi altarini non erano luoghi di culto, ma avevano la funzione di illuminare i vicoli.
L'idea fu di un parroco domenicano di Massa Lubrense, Padre Gregorio Maria Rocco, e nacque, un po' come tutte le tradizioni napoletane, da una reale necessità: illuminare i vicoli. All'epoca, infatti, e parliamo del Settecento, nel periodo borbonico, le strade erano buie, e c'era il pericolo dei furti.
Il parroco, allora, pensò di sistemare sui muri alcune immagini della Madonna. Sapeva, infatti, che i fedeli le avrebbero illuminate con le candele. È proprio in questa occasione, pare, che sia nato il modo di dire, diventato poi comune in napoletano, “C''a Maronna t'accumpagne!”, un augurio dato a chi iniziava il suo percorso di viandante.

Padre Rocco, quindi, in realtà crea la prima opera di street art.

Con il passare del tempo, poi, le edicole divennero dei veri e propri luoghi di culto, dedicati non solo alla Madonna, ma anche agli atri santi. Di questi luoghi di culto non si occupavano tanto le istituzioni, bensì le famiglie del quartiere.

A Napoli la maggior parte delle edicole riporta come data di fondazione l'anno 1884, perché i napoletani le dedicarono ai santi, come una sorta di ex voto, per essersi salvati dall'epidemia di colera). Molte furono danneggiate dai bombardamenti del 1943, anno in cui la città venne devastata prima dagli americani e in seguito dai tedeschi, per poi mettere fine alla guerra scacciando le truppe tedesche durante le Quattro Giornate (27 settembre - 1 ottobre 1943). Riportano anche la data del restauro, che per molte edicole avvenne tra il 1945 e il 1947. E generalmente chi paga per il restauro è una famiglia del quartiere, oppure dei singoli abitanti, che si firmano con i loro soprannomi, come accade per una delle edicole sacre nei quartieri spagnoli, della quale si occupano “Titinella e Spalluzzella”.

Spesso, all'interno di un'edicola, troviamo anche le immagini dei defunti della famiglia che l'ha fatta costruire, affinché quelle povere anime vengano protette dal santo. E troviamo anche degli ex voto, gli oggetti d'argento che generalmente si lasciano ai santi in segno di devozione.

Ma osserviamo anche la struttura, di questi altarini: a cosa somigliano? Il termine “edicola” deriva da “aedes”, che significa “tempio”. In effetti, nelle domus romane antiche esistevano già questi tempietti, dedicati ai lari, entità protettrci della casa. Era, quello dei lari e dei penati, un culto simile a quello delle divinità, ma più intimo, più “familiare”. Ecco, un po' come le edicole sacre.

Oggi a Napoli ci sono tante edicole anche profane, come quelle dedicate a Maradona o a Totò.

C'è poi, tra tutte, la mia edicola preferita. È quella che si trova di fronte al Pallonetto Santa Chiara, all'incrocio con via Santa Chiara. Lì le due dimensioni – sacro e profano – sono presenti entrambe, grazie a un poster di Pulcinella, un'opera di street art del fotografo Fabio Calvetti. Su instagram il suo nickname è “olossolo”, le sue foto di uno spettacolo di Pulcinella sono sui muri napoletani, perfettamente in sintonia con il contesto.

Il Pulcinella in via Santa Chiara sembra rivolgersi alla Madonna dell'edicola come un mendicante, come uno che chiede qualche spicciolo. E, se ci pensate, quando chiediamo qualcosa ai santi, non assumiamo, più o meno, lo stesso atteggiamento?


Street art a Montesanto, gli animali di Ericailcane e Sardomuto

Ericailcane è lo pseudonimo di Leonardo, uno street artist italiano originario di Belluno, che ha lavorato in tutto il mondo e anche qui a Napoli.
La caratteristica principale dei suoi murales, come potete vedere dalle immagini, è che gli animali vengono rappresentanti nei minimi dettagli e "umanizzati", e quindi assumono un effetto straniante. Le loro movenze, le espressioni e gli atteggiamenti sono quelli di un essere umano.
I murales sono generalmente abbastanza grandi, e sono proprio le dimensioni spropositate (molto maggiori di quelle reali) a conferire una nota inquietante.
Ericailcane ha collaborato diverse volte con Blu, e anche con Bastardilla, con la quale ha realizzato anche un murales a Medolla - come commemorazione del terremoto avvenuto in Emilia Romagna nel 2012 - in cui alcuni topolini si danno da fare per ricucire la terra devastata.
A Napoli, nella zona di Montesanto/della Pignasecca troviamo due grandi murales, dipinti direttamente sul muro, per i quali ha collaborato con lo street artist Sardomuto
Il primo si trova alle spalle di piazza Dante, e sono raffigurati tre personaggi: un gatto e un uccellino che mantengono una vaschetta che contiene un pesciolino rosso, cercando di evitare possibili fuoriuscite d'acqua con dei tappi di sughero. Il gatto guarda il pesciolino, l'uccello, invece, fissa lo spettatore. Entrambi, però, hanno un atteggiamento che risulta insolito, per la loro natura. Ci aspetteremmo che si lanciassero entrambi sul pesce rosso per mangiarlo, e invece lo proteggono, salvandolo dalla morte per asfissia. Il murales è stato dedicato a Mattia Fagnoni, un bambino di sette anni e mezzo, purtroppo deceduto a causa della sindrome di Sandhoff. L'associazione Mattia Fagnoni ONLUS raccoglie fondi per supportare i bambini che soffrono di malattie rare, un altro murales dedicato al piccolo, in città, è quello in piazza Pignasecca, realizzato da Diavù. 
Nel murales di Ericailcane e Sardomuto, l'atteggiamento di protezione dei due animali indica la solidarietà nei confronti dei più deboli, che non hanno armi sufficienti per difendersi.

Nel murales in via Pasquale Scura, invece, ci sono due uccelli, uno più grande e l'altro più piccolo, e anche loro sono rappresentati nei minimi dettagli e con espressioni umane. 
Si fa riferimento alle leggende che spiegano l'etimologia del termine "Pignasecca", il mercato della zona. Si narra, infatti, che quando Pedro da Toledo fece costruire la famosa strada militare, dovette sventrare le zone circostanti, e rimase soltanto un pino come nido delle gazze ladre. Gli abitanti della zona provarono a cacciare gli uccelli, ma il pino improvvisamente rinsecchì. 
Una seconda versione della leggenda è molto più fantasiosa, ma anche più intrigante: la zona alle spalle di via Toledo era, all'epoca, occupata dal bosco di Biancomangiare, della proprietà della famiglia Pignatelli di Monteleone. Le gazze ladre, all'epoca, entravano nelle abitazioni dei nobili e del clero, e portavano sulla cima dei pini del bosco gli oggetti che avevano rubato nelle case. Spesso, però, questi oggetti servivano da testimonianza per la lussuria in vigore all'epoca, anche tra i rappresentanti del clero, e quindi gli abitanti della zona iniziarono a spettegolare su ciò che accadeva nella zona. Il vescovo decise, allora, di scomunicare le gazze ladre, ma pian piano, dopo l'emanazione della bolla di scomunica, tutti i pini iniziarono a rinsecchire, uno dopo l'altro. 
Nel murales sono raffigurate le due gazze ladre che lottano per il bottino. 

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Napoli ha aperto le sue porte, soprattutto nell'ultimo decennio, alla street art. 
Per scoprire i murales della zona di Montesanto e dei quartieri spagnoli, puoi prenotare un tour di street art a questo link.



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Toledo, la metro più bella d'Europa. E la più inaccessibile

Quartieri spagnoli, Piazza Montecalvario, metro Toledo.

La porta che vedete in foto è chiusa dal primo lockdown, dal covid.
Sapete cosa c'è al di là di quella porta? Probabilmente molte persone non lo sanno, perché non l'hanno mai vista aperta. Ebbene sì, perché già dal 2014, quando è stata aperta la metro Toledo, ossia quella decantata come la metro più bella d'Europa, questo ingresso qui è stato quasi sempre chiuso nei fine settimana.

Direte: "poco male, l'entrata principale della metro si trova a due passi da lì, su via Toledo".
E no, perché al di là di quella saracinesca chiusa c'è un mosaico di Francesco Clemente ("Engiadina"), e nell'area oggi chiusa ci sono tantissime opere d'arte di artisti contemporanei, chiamati per il grande progetto della stazione Toledo.
In pratica, se oggi vogliamo visitare la stazione della metro più bella d'Europa, ne possiamo visitare solo la metà.

Perché a Napoli abbiamo talmente tante opere d'arte, che ci permettiamo il lusso di tenerle chiuse, e ben nascoste.

Signori, questo è il danno che abbiamo oggi da questa chiusura. Dico "che abbiamo oggi", perché quando invece l'ingresso di Montecalvario è stato chiuso, perché considerato "secondario", evidentemente, rispetto a quello di via Toledo, il danno era molto più consistente.

Sapete a quando risale il progetto delle stazioni dell'arte, a Napoli? Al 1995.
Ci entravate nei quartieri spagnoli, nel 1995?
E quando è stata aperta la metro Toledo, nel 2014, ci entravate così spesso?
Probabilmente no.
Ricordo, una quindicina di anni fa (ma anche meno) tutti i turisti, nonché i napoletani, fermi su via Toledo a fotografare la prospettiva dei vicoletti, che salgono fin sul Corso Vittorio Emanuele, con lo sfondo della Certosa.

Un'immagine molto "instagrammabile", come qualcuno direbbe oggi.
Ma guai ad entrare nei quartieri spagnoli! "Sono pericolosi", si sentiva dire in giro.

Bene, nel 1995, e ancora nel 2014, quel passaggio sotterraneo, voluto come "museo obbligatorio" era un accesso nei quartieri. Era un voler incitare la gente a visitare tutto il tunnel della metro, e da via Toledo, nella "Napoli di sotto", tra mura aragonesi, olas, canal de luz e mosaici, sbucare, infine, proprio nei quartieri. Lì, a piazzetta Montecalvario, dove la Certosa, per un effetto ottico, ci sembra ancora più vicina. Proprio lì avremmo trovato i murales di Cyop&Kaf, le lanterne di Dalisi, a due passi il Teatro Nuovo, ad accoglierci.

E magari ci saremmo resi conto che questi quartieri una passeggiata tra i vicoli, quantomeno da parte dei napoletani, se la meritavano, eccome se se la meritavano.

"È cose 'e niente". Ce la facciamo anche da soli. Forse.
Ce la siamo sempre vista da soli, e così deve andare.

(In foto, l'uscita Montecalvario della stazione Toledo della metro 1, con il murales di Zeal off e di They live, per il 35esimo anniversario del progetto al quale partecipò il poster di John Mc Connel - per l'immagine culturale della città di Napoli).

I diritti delle donne nella street art napoletana: da Whatifier a Cassandra.parla

Sui muri del centro storico di Napoli riecheggiano le urla di rivendicazione dei diritti delle donne. 

Whatifiier, di cui ho già parlato qui, utilizza come sfondi per i suoi messaggi al femminile le donne dei dipinti di Modigliani, di Tamara Lempicka, di Klimt, di Botticelli e di altri artisti del passato. La street artist non ha lasciato i suoi poster solo a Napoli, ma anche in altre città come Firenze. Pertanto, la lingua che ha scelto per divulgare i suoi messaggi è l'inglese: Smash the patriarchy (Distruggi il patriarcato), My body my choice (Mio il corpo, mia la scelta), No means no (No significa no), Sexism is an issue (Il sessismo è un problema)...

Analogo il contenuto, ma diversi la forma e il target del progetto di Cassandra.parla , i cui messaggi sono in napoletano. Bella 'mbriana, Song' 'na malafemmina, 'O core se da a chi s''o sape tene' (il cuore si dà a chi se lo sa tenere), L'ammore fa passa' 'o tiempo e 'o tiempo fa passa' l'ammore (l'amore fa passare il tempo e il tempo fa passare l'amore) sono alcune delle frasi sui poster della street artist Emanuela Auricchio. 
Cassandra è il suo alter ego, perché Cassandra nella mitologia greca era colei che, pur prevedendo il futuro, era condannata, in sostanza, al silenzio, perché nessuno la ascoltava, nessuno le credeva. Un personaggio al quale Emanuela ha ridato voce, con le sue opere di street art, sui muri dei vicoli napoletani. 
Le donne sono disegnate proprio da lei, uno dei suoi murales è dedicato a Masha Amini, la ragazza arrestata dalla polizia iraniana per non aver indossato correttamente l'hijab, e poi morta tre giorni dopo, probabilmente a causa di un pestaggio effettuato proprio dalle forze dell'ordine. 
Su un altro murales, a Port'Alba, lascia uno spazio bianco, dove invita lo spettatore a scrivere una frase. 

I poster delle due street artist si uniscono ai messaggi di #lediesis, Ogni donna una Madonna, Mp5 e tanti altri, che avevano, già in passato, testimoniato a favore dei diritti al femminile. 
 
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Se vuoi prenotare uno street art tour alla scoperta dei murales nel centro antico o negli altri quartieri di Napoli, puoi farlo contattarmi qui


Rione Sanità e quartieri spagnoli: le promesse non mantenute

Promesse non mantenute (1 e 2) :
Se andate nel rione Sanità a vedere Palazzo dello Spagnolo, il gioiellino settecentesco, noterete probabilmente che tutte le porte delle abitazioni hanno delle decorazioni in stucco, con riproduzioni di figure femminili. Tutte, tranne una. Una sulla quale troviamo un volto molto noto a noi napoletani, e in particolare agli abitanti del Rione Sanità, che diede i natali a questo grandissimo attore: il principe Antonio de Curtis, in arte Totò.
Il busto di Totò salta all'occhio, ciò che invece noterà solo uno sguardo attento sarà la serie di necrologi attaccati sui muri, dedicati sempre a Totò. Ma non per la sua morte, bensì per la sua seconda morte, e cioè per il museo, dedicato alla sua persona, negato dalle istituzioni. La promessa di istituire un museo dedicato al tanto amato attore all'interno di Palazzo dello Spagnuolo, infatti, risale a decenni fa. È stata fatta, ma non è stata mai mantenuta.
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La seconda promessa non mantenuta riguarda la metro Toledo, quella che è stata dichiarata la più bella d'Europa. I turisti probabilmente non ricordano il progetto iniziale, i napoletani sicuramente sì, perché all'epoca la stazione della metro fu pubblicizzata, come si dice a Napoli, a destra e a manca.
Il progetto delle stazioni della metro dell'arte risale al 1995, la prima tratta aperta fu "Dante-Vanvitelli". Ricordo ancora il mio primo giro in metropolitana, con mio padre, era qualcosa di completamente nuovo!
Nel corso degli anni, poi, sono state aperte nuove fermate, tutte (o la maggior parte) arricchite da opere di artisti contemporanei. Ma a cosa serve inserire delle opere d'arte nelle metropolitane? Beh, serve, eccome se serve! Serve perché, in questo modo, si "obbliga" il viaggiatore a un percorso di bellezza. Il passaggio nelle metropolitane è stato pensato proprio come un "museo obbligatorio".
Inaugurata nel 2012, la stazione Toledo catturò subito l'attenzione dei critici d'arte e dei giornalisti, il quotidiano "The Daily Telegraph" la dichiarò la più bella d'Europa. La stazione, infatti, progettata da Óscar Tusquets Blanca, artista catalano, vanta la presenza di opere di nomi del calibro di William Kentridge, Bob Wilson, Oliviero Toscani, Francesco Clemente, e tanti altri. L'immagine che pubblico in questo post è un'opera presente nella metro Toledo, della fotografa Shirin Neshat. Si intitola "Il teatro è vita. La vita è teatro – Don’t ask where the love is gone". La conoscete? L'avete vista? Mi auguro per voi di sì, perché altrimenti non potete vederla. Non potete vederla, così come non potrete vedere le opere di Francesco Clemente, Oliviero Toscani, Lawrence Weiner e Ilya ed Emilia Kabakov, e sapete perché? Perché il lato della stazione metro che le ospita, con la relativa uscita della metro Montecalvario, è chiuso!
L'uscita Montecalvario si trova in piazzetta Montecalvario, nel cuore dei quartieri spagnoli. Se andate oggi nei quartieri, il fatto che ci fosse un'altra uscita della metropolitana così vicina a quella di via Toledo vi potrebbe anche sembrare una cosa inutile, perché adesso i quartieri sono diventati turistici, grazie ad una serie di iniziative dal basso, come le associazioni e le attività di ristorazione.
All'epoca del progetto della metro, però, non era così. I quartieri erano considerati pericolosi, non solo i turisti, ma anche i napoletani stentavano ad entrarci. Li vedevi spesso con le loro fotocamere su via Toledo, intenti a riprendere da lontano gli scorci dei vicoli. Quindi, costruire un passaggio sotterraneo che potesse spingere i napoletani e i turisti a completare il percorso espositivo della metro Toledo, e che li potesse accompagnare fino all'uscita Montecalvario, nei quartieri, era un progetto socialmente utile, addirittura rivoluzionario. L'urbanistica incide sul territorio, e incide sugli aspetti sociali del territorio.
Purtroppo, già dall'inizio la promessa di un'"inclusione" dei quartieri spagnoli nei percorsi turistici venne disattesa dalla mancanza di personale in metropolitana. L'uscita Montecalvario, infatti, restava sempre chiusa nel weekend, proprio a causa di mancava di personale. Dopo il primo lockdown dovuto al covid, hanno deciso di chiuderla definitivamente, e oggi se ci si reca in piazzetta Montecalvario, si vede solo l'insegna della metro, con l'ingresso sbarrato.

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