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Memento mori - Il mosaico del MANN

Nella sezione MOSAICI del Museo Archeologico di Napoli è esposto un memento mori rinvenuto in un'officina o conceria di Pompei. Il mosaico riporta una serie di simboli, che nei secoli sono stati oggetto di varie interpretazioni.
Si vede uno scheletro, appeso a un filo di piombo attaccato a una squadra di legno. Sotto lo scheletro ci sono una farfalla e una ruota a sei raggi, mentre ai suoi lati, appesi alle estremità della squadra, troviamo un lenzuolo color porpora avvolto intorno a un bastone appuntito, da una parte, e un pezzo di legno con un sacchetto e una coperta, dall'altra.
Il significato associato a questa iconografia è il seguente: il teschio rappresenta la morte, e quindi la fugacità della vita, la farfalla è l'anima, la ruota è la fortuna umana. A sinistra del teschio, troviamo i simboli della ricchezza: il lenzuolo color porpora era di enorme valore, perché il pigmento utilizzato per ottenere quel colore veniva estratto dalla ghiandola di un mollusco, il murice comune, e ne servivano tantissimi per colorare un pezzo di stoffa. Il bastone al quale il tessuto è avvolto ha una punta aguzza, che affonda nel terreno: simbolo di tradizioni radicate, di un'identità salda, di una forte consapevolezza delle proprie origini.
Il ramo che si trova a destra dello scheletro, invece, è storto. Rappresenta la povertà, insieme al sacco e alla coperta.
L'artista ha voluto dunque esprimere che non fa differenza che tu sia ricco o povero, la morte può sopraggiungere in qualsiasi momento, e di fronte alla morte non ci sono differenze sociali o economiche, siamo tutti uguali.
Il motivo della fugacità della vita è stato più volte ripetuto, nel corso dei secoli, e rappresentato nell'arte di tutti i tempi. Per quanto riguarda l'epoca contemporanea, riscontriamo un esempio nella poesia di Totò "'A livella", in cui un marchese e un netturbino, dopo essere morti, si incontrano e discutono sulla loro sorte comune. Sarà il netturbino, e quindi il poveraccio, a mettere a tacere il marchese, indegnato per la sepoltura che gli era stata riservata, accanto a un uomo di basso rango, dicendogli: "'Sti ppagliacciate 'e ffanno sulo 'e vive
Nuje simmo serie, appartenimmo à morte!" ("Queste pagliacciate le fanno solo i vivi, noi siamo seri, apparteniamo alla morte!")

Il Largo Mercatello e la sua piccola fiammiferaia


È nota ovunque come Piazza Dante, ma non tutti sanno che le fu dato questo nome solo nel 1871, e cioè quando Tito Angelini e Tommaso Solari junior scolpirono la statua del sommo poeta.
E allora, come si chiamava la piazza, prima di questa data? Largo Mercatello. Perché vi si svolgeva il mercato, sin dal 1588. Certo, non era proprio come Piazza Mercato, e quindi si decise di usare il diminutivo.
A nord della piazza c'erano le fosse del grano, a sud le cisterne dell'olio.
Nella seconda metà del Settecento, poi, Carlo di Borbone vi fece costruire da Luigi Vanvitelli il Foro Carolino, un monumento celebrativo di Carlo di Borbone. I ventisei busti sull'edificio rappresentano, infatti, le virtù di Carlo.

Stasera uno spicchio di luna illuminava la città, e sembrava quasi che Dante ne volesse mettere un po' da parte per il piccolo vecchio Mercatello.

L'heroon di Paestum | Il monumento al fondatore della città

Di Paestum tutti noi conosciamo, senza dubbio, i templi greci. Ma negli scavi c'è molto di più: case, macellum, comitium, anfiteatro, un tempio romano e molte altre strutture, che spesso suscitano anche qualche problema di interpretazione. Questo qui in foto è un cenotafio, un monumento eretto all'eroe fondatore della città. Ad un acheo, dunque, proveniente dalla colonia greca di Sibari, in Calabria, che aveva fondato intorno al 600 a.C. la città di Poseidonia, dedicata al Dio del mare. Il monumento funebre, scoperto da Sestieri nel 1954, fu trovato con all'interno alcune idrie, cioè dei vasi - tutti di bronzo, tranne uno in terracotta, decorato con la rappresentazione dell'apoteosi di Ercole che arriva a cavallo sull'Olimpo - che contenevano del miele. Oggi sia i vasi che il miele sono conservati all'interno del museo.
Come si può vedere in foto, l'heroon ha un doppio tetto: uno fu costruito inizialmente, in epoca greca, con i blocchi di calcare. Successivamente, quando la città fu conquistata dai romani e divenne Paestum (da "Paiston", nome che le era stato associato in epoca lucana, nel V secolo a.C.), decisero di costruire un altro tetto, fatto di tegole, e di recintarlo. Non lo distrussero, come avevano invece fatto con altre costruzioni greche. Lo rispettarono.
L'Heroon dimostra la convivenza, in epoca romana, delle culture precedenti.
D'altronde, sappiamo bene che i romani seppero, soprattutto dai Greci, copiare molto bene, basti pensare ai teatri, alle scritture, e così via. Non si tratta, però, di una semplice imitazione, bensì di una emulazione, che tiene ben conto del contesto in cui è inserita.

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Ora blu a Largo Banchi Nuovi

La Chiesa dei Santi Cosma e Damiano fu eretta a Largo Banchi Nuovi, a Napoli, intorno al 1616 dai membri della Congrega dei Barbieri, costretti ad abbandonare la loro sede in via Tribunali a causa della costruzione del complesso dei Gerolomini. Acquistarono il palazzo e la Loggia dei mercanti da Alfonso Sanchez e ne fecero la loro sede.
La facciata ingloba degli elementi del preesistente palazzo cinquecentesco e il portale in piperno è sormontato da un finestrone con decorazione in stucco. Abbandonata da ormai circa 60 anni, sono iniziati da poco i lavori di restauro.
La dicitura "Largo Banchi Nuovi" nasce invece dopo il 1569, quando una pioggia torrenziale demolì molti palazzi in costruzione in zona e provocò 24 morti. I mercanti, allora, acquistarono la loggia, detta "dei segatori", per la presenza di numerose botteghe di falegnami, e la chiamarono "Largo Banchi Nuovi".

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Memento mori - Il mosaico del MANN

Nella sezione MOSAICI del Museo Archeologico di Napoli è esposto un memento mori rinvenuto in un'officina o conceria di Pompei. Il mosaico riporta una serie di simboli, che nei secoli sono stati oggetto di varie interpretazioni.
Si vede uno scheletro, appeso a un filo di piombo attaccato a una squadra di legno. Sotto lo scheletro ci sono una farfalla e una ruota a sei raggi, mentre ai suoi lati, appesi alle estremità della squadra, troviamo un lenzuolo color porpora avvolto intorno a un bastone appuntito, da una parte, e un pezzo di legno con un sacchetto e una coperta, dall'altra.
Il significato associato a questa iconografia è il seguente: il teschio rappresenta la morte, e quindi la fugacità della vita, la farfalla è l'anima, la ruota è la fortuna umana. A sinistra del teschio, troviamo i simboli della ricchezza: il lenzuolo color porpora era di enorme valore, perché il pigmento utilizzato per ottenere quel colore veniva estratto dalla ghiandola di un mollusco, il murice comune, e ne servivano tantissimi per colorare un pezzo di stoffa. Il bastone al quale il tessuto è avvolto ha una punta aguzza, che affonda nel terreno: simbolo di tradizioni radicate, di un'identità salda, di una forte consapevolezza delle proprie origini.
Il ramo che si trova a destra dello scheletro, invece, è storto. Rappresenta la povertà, insieme al sacco e alla coperta.
L'artista ha voluto dunque esprimere che non fa differenza che tu sia ricco o povero, la morte può sopraggiungere in qualsiasi momento, e di fronte alla morte non ci sono differenze sociali o economiche, siamo tutti uguali.
Il motivo della fugacità della vita è stato più volte ripetuto, nel corso dei secoli, e rappresentato nell'arte di tutti i tempi. Per quanto riguarda l'epoca contemporanea, riscontriamo un esempio nella poesia di Totò "'A livella", in cui un marchese e un netturbino, dopo essere morti, si incontrano e discutono sulla loro sorte comune. Sarà il netturbino, e quindi il poveraccio, a mettere a tacere il marchese, indegnato per la sepoltura che gli era stata riservata, accanto a un uomo di basso rango, dicendogli: "'Sti ppagliacciate 'e ffanno sulo 'e vive
Nuje simmo serie, appartenimmo à morte!" ("Queste pagliacciate le fanno solo i vivi, noi siamo seri, apparteniamo alla morte!")

Il Largo Mercatello e la sua piccola fiammiferaia


È nota ovunque come Piazza Dante, ma non tutti sanno che le fu dato questo nome solo nel 1871, e cioè quando Tito Angelini e Tommaso Solari junior scolpirono la statua del sommo poeta.
E allora, come si chiamava la piazza, prima di questa data? Largo Mercatello. Perché vi si svolgeva il mercato, sin dal 1588. Certo, non era proprio come Piazza Mercato, e quindi si decise di usare il diminutivo.
A nord della piazza c'erano le fosse del grano, a sud le cisterne dell'olio.
Nella seconda metà del Settecento, poi, Carlo di Borbone vi fece costruire da Luigi Vanvitelli il Foro Carolino, un monumento celebrativo di Carlo di Borbone. I ventisei busti sull'edificio rappresentano, infatti, le virtù di Carlo.

Stasera uno spicchio di luna illuminava la città, e sembrava quasi che Dante ne volesse mettere un po' da parte per il piccolo vecchio Mercatello.

L'heroon di Paestum | Il monumento al fondatore della città

Di Paestum tutti noi conosciamo, senza dubbio, i templi greci. Ma negli scavi c'è molto di più: case, macellum, comitium, anfiteatro, un tempio romano e molte altre strutture, che spesso suscitano anche qualche problema di interpretazione. Questo qui in foto è un cenotafio, un monumento eretto all'eroe fondatore della città. Ad un acheo, dunque, proveniente dalla colonia greca di Sibari, in Calabria, che aveva fondato intorno al 600 a.C. la città di Poseidonia, dedicata al Dio del mare. Il monumento funebre, scoperto da Sestieri nel 1954, fu trovato con all'interno alcune idrie, cioè dei vasi - tutti di bronzo, tranne uno in terracotta, decorato con la rappresentazione dell'apoteosi di Ercole che arriva a cavallo sull'Olimpo - che contenevano del miele. Oggi sia i vasi che il miele sono conservati all'interno del museo.
Come si può vedere in foto, l'heroon ha un doppio tetto: uno fu costruito inizialmente, in epoca greca, con i blocchi di calcare. Successivamente, quando la città fu conquistata dai romani e divenne Paestum (da "Paiston", nome che le era stato associato in epoca lucana, nel V secolo a.C.), decisero di costruire un altro tetto, fatto di tegole, e di recintarlo. Non lo distrussero, come avevano invece fatto con altre costruzioni greche. Lo rispettarono.
L'Heroon dimostra la convivenza, in epoca romana, delle culture precedenti.
D'altronde, sappiamo bene che i romani seppero, soprattutto dai Greci, copiare molto bene, basti pensare ai teatri, alle scritture, e così via. Non si tratta, però, di una semplice imitazione, bensì di una emulazione, che tiene ben conto del contesto in cui è inserita.

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Ora blu a Largo Banchi Nuovi

La Chiesa dei Santi Cosma e Damiano fu eretta a Largo Banchi Nuovi, a Napoli, intorno al 1616 dai membri della Congrega dei Barbieri, costretti ad abbandonare la loro sede in via Tribunali a causa della costruzione del complesso dei Gerolomini. Acquistarono il palazzo e la Loggia dei mercanti da Alfonso Sanchez e ne fecero la loro sede.
La facciata ingloba degli elementi del preesistente palazzo cinquecentesco e il portale in piperno è sormontato da un finestrone con decorazione in stucco. Abbandonata da ormai circa 60 anni, sono iniziati da poco i lavori di restauro.
La dicitura "Largo Banchi Nuovi" nasce invece dopo il 1569, quando una pioggia torrenziale demolì molti palazzi in costruzione in zona e provocò 24 morti. I mercanti, allora, acquistarono la loggia, detta "dei segatori", per la presenza di numerose botteghe di falegnami, e la chiamarono "Largo Banchi Nuovi".

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