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I Re di Napoli sulla facciata del Palazzo Reale

Oggi inizia una nuova rubrica: i re di Napoli! Le statue dei re di Napoli si trovano sulla Oggi inizia una nuova rubrica: i re di Napoli! Le statue dei re di Napoli si trovano sulla facciata del Palazzo Reale, in piazza del Plebiscito, e furono sistemate lì per volontà di re Umberto I, nel 1888. Il primo re di Napoli è Ruggiero II il Normanno, e a lui, infatti, è dedicata la prima statua, opera di Emilio Franceschi. I normanni verranno inizialmente reclutati dal duca Sergio IV, nel 1027, per liberarsi dalla pressione incalzante dei longobardi. Per ricompensarli, donerà loro una terra, che i normanni chiameranno "Aversa", perché ostile, sia a Napoli che a Capua. Da Aversa si estenderanno a macchia d'olio, fino ad assediare, nel 1130, la città di Napoli. Si tratta di Ruggiero di Sicilia, che sbaraglia gli ultimi fedeli del duca Sergio VIII e nove anni dopo riceve le chiavi della città. L'anno Ruggiero il Normanno fu un re saggio, che però impose un'organizzazione unitaria del regno. Questo non permise alla classe borghese napoletana di rendersi autonoma, e alla città di Napoli di evolversi come libero comune. Durante il regno dei normanni furono costruiti Castel dell'Ovo (residenza ai tempi di Ruggiero il Normanno) e Castel Capuano (Residenza successiva, voluta da Guglielmo I il Normanno, anche per conciliare la necessità di una residenza con quella di un presidio militare). Nella prossima puntata con i re di Napoli parleremo di come il potere passò agli svevi.

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Seconda puntata della rubrica dei #ReDiNapoli Oggi parliamo degli Svevi e in particolare di Federico II di Svevia. La sua statua sulla facciata del palazzo reale di Napoli è un'opera di Emanuele Caggiano. Federico Ruggero di Hohenstaufen entra a Napoli perché discendente per parte di madre dai normanni di Altavilla. Il suo regno è caratterizzato da un governo moralizzatore, i privilegi e le libertà medievali sono soppressi. Federico verrà ostacolato più volte dalla chiesa, ed ebbe persino due scomuniche dal papa Gregorio IX, che lo definiva l'anticristo. Federico riuscì, in ogni caso, ad attuare diverse opere nel regno: a Napoli ricostruì le mura e incrementò i traffici, limitando il potere del suo rappresentante locale, il "compalazzo", al quale affianca una curia composta da cinque giudici e otto notai. Ma la sua opera più grande è sicuramente l'istituzione dello Studio Generale, nel 1224. Si tratta dell'università di Napoli, la prima università laica d'Italia, che prende il nome di Federico II. Il regno degli Svevi finirà nel 1266, con l'arrivo degli angioini . Il passaggio di potere sarà segnato da un evento tragico, che resterà per sempre nella memoria dei napoletani: la decapitazione, nel 1268, in piazza Mercato, di Corradino di Svevia, un ragazzino di soli 14 anni. Ma degli angioini parleremo nella prossima puntata della rubrica! A presto!

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Terza puntata della rubrica dedicata ai #ReDiNapoli ! La terza statua sulla facciata del palazzo reale di Napoli è dedicata a Carlo d'Angiò, ed è un'opera di Tommaso Solari. Il sovrano è rappresentato con un'espressione feroce, e in effetti il suo non era di certo un carattere docile. I napoletani , dopo la morte di Federico II di Svevia, iniziarono a mostrare segni di insofferenza nei confronti dell'impero, si ribellarono contro i governatori e Napoli divenne un libero comune sotto la protezione di Papa Innocenzo IV. La chiesa , approfittando del malcontento popolare, introdusse conventi di francescani e domenicani in città, e si servì proprio del francese Carlo d'Angiò , nel 1266, per eliminare anche le ultime tracce del potere dei ghibellini. Questo avvenne nel 1268, con la decapitazione di Corradino di Svevia in piazza Mercato. La capitale viene trasferita da Palermo a Napoli, nel periodo angioino verranno costruite tantissime chiese a Napoli, come il duomo , San Lorenzo, Sant'Eligio, Santa Chiara, San Domenico, e il rapporto dei napoletani con la religione verrà consolidato, diffondendo però nella popolazione anche bigotteria e superstizione. Scultori come Tino da Camaino e pittori come Giotto e Simone Martini verranno a Napoli a lavorare nei luoghi di culto. Fiorì anche l'edilizia civile, con la costruzione del Castel Nuovo, che divenne la nuova residenza reale degli angioini , e del Castel Sant'Elmo. Le classi medie della città tardano ad emergere. Carlo accentua la componente feudale, le esigenze dei ceti più bassi della popolazione non trovano alcun rappresentante ai piani alti. Il malcontento porterà, nel 1282, alla rivolta dei vespri in Sicilia, che anticiperà il sorgere di una nuova dominazione, quella aragonese , di cui parleremo nella prossima puntata. A Carlo d'Angiò successe Carlo II lo Zoppo, e poi Roberto d'Angiò. Questi portò a corte personalità come Francesco Petrarca, ma alla fioritura delle arti non corrispose una grande capacità governativa. Le imposte erano troppo alte, così come i costi della politica estera. Il brigantaggio, l'Inquisizione, la pestilenza del 1348 e la confusione degli anni successivi alla morte di re Roberto e legati alle due Giovanne accelerarono l'ingresso degli aragonesi in città, che avvenne nel 1442.


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Quarta puntata della rubrica sui #redinapoli !La quarta statua sulla facciata del Palazzo Reale a Napoli è dedicata al re aragonese Alfonso D'Aragona, detto "Il Magnanimo". Si tratta di un'opera di Achille D'Orsi.Come arrivò Alfonso D'Aragona a Napoli? Sul portale di Castel Nuovo, splendida opera di Pietro De Martino dai disegni di Francesco Laurana, è rappresentato l'ingresso trionfale in città di Alfonso, trasportato sul carro della vittoria. Anche nella sala dei fasti aragonesi, la seconda anticamera di Palazzo Reale, troviamo, sugli affreschi del soffitto, la stessa scena.La realtà, però, è leggermente diversa. Alfonso D'Aragona, dopo un lungo assedio alla città di Napoli, si recò da una signora che abitava nella zona "extra moenia", tale "donna Ceccarella", e le promise un vitalizio in cambio di un piccolo favore: permettergli di accedere ai sotterranei napoletani, entrando dal pozzo del giardino. Così fece, e sbucò, attraverso i cunicoli dell'acquedotto, all'interno delle mura. Il suo ingresso a Napoli, dunque, fu tutt'altro che trionfale, e più simile a quello di un topo di fogna. Durante il regno di Alfonso fiorì la politica estera, Napoli era il centro del vasto dominio mediterraneo. Si sviluppò la produzione della lana e della seta. Al contempo, arte e letteratura vissero un momento particolarmente florido. Basti pensare a personaggi quali il Panormita e Giovanni Pontano, o come il Pinturicchio e il Perugino, che lavorarono a Napoli in quest'epoca. La politica di Alfonso però fu orientata a favorire i baroni e eliminò il seggio del popolo; inoltre il sovrano era molto religioso - pensate che si vantava di aver letto la Bibbia per intero ben quaranta volte - e ricercò una devota alleanza con il pontefice romano, anche per sconfiggere angioini e turchi.Lo sfarzo e il lusso delle feste compromettevano la situazione economica del regno, e il favore di Alfonso continuava a propendere verso baroni e feudatari, ai quali egli concesse diversi favori, sentendosi ricattato dalla minaccia di ribellioni. I feudatari facevano da padroni nelle campagne, agivano con prepotenza, e questo provocava lo sdegno dei mercanti provenienti dalle altre zone d'Italia che visitavano il regno. Lo sviluppo della marina restò praticamente fermo, in epoca aragonese. Ad Alfonso il Magnanimo seguì Ferrante, che cercò di conquistare la fiducia dei napoletani con una politica tesa alla promozione culturale e urbanistica della città, pur essendo un uomo indifferente alla cultura. Ferrante si dedicò allo sviluppo dell'artigianato , chiamando a corte da tutta Italia i maggiori setaioli, orafi e cuoiai, e cinse Napoli con ventidue torri cilindriche, la bonificò e migliorò l'amministrazione della giustizia. Contro di lui, però, cospirarono i baroni, che, motivati dall'inasprimento delle imposte, si riunirono nella famosa congiura, nel 1485. Ferrante li scoprì e li fece giustiziare o li mandò in esilio in Francia l'anno seguente.Il dominio aragonese era, in quegli anni, minato dalla grandi potenze europee, che si contendevano il territorio italiano. Dopo la morte di Ferrante, la corona passò in pochi anni ad Alfonso II e poi a Ferrantino, venne poi minacciata da Carlo VIII, Re di Francia, facente parte della casata degli angioini, chiamato in aiuto in Italia da Ludovico il Moro. Scansata la minaccia francese, Ferrantino venne richiamato, e dopo di lui la corona andò ancora a Federico III, l'ultimo degli aragonesi, che provò a governare con intelligenza e cautela.Il dominio aragonese a Napoli terminerà, però, nel 1503, quando Ferdinando il Cattolico conquisterà il regno grazie a Don Consalvo de Cordoba, e Napoli verrà ridotta a una provincia periferica nell'impenso impero spagnolo.Ma di questo parleremo nella prossima puntata...

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Quinta puntata della rubrica sui #redinapoli! La quinta statua sulla facciata del palazzo reale di Napoli è dedicata a Carlo V ed è opera di Vincenzo Gemito. Carlo ereditò nel 1506 il regno di Castiglia e delle terre del Nuovo Mondo dal padre Filippo d'Asburgo il Bello,  arciduca d’Austria e signore dei Paesi Bassi. Carlo aveva solo sei anni, all'epoca, e quindi il regno verrà amministrato dal nonno materno, Ferdinando il Cattolico, fino al compimento della maggiore età.  Il 28 giugno 1519 venne eletto Sacro Romano Imperatore con il nome di Carlo V e nel 1529, dopo la battaglia di Pavia e il sacco di Roma, impose la pace di Cambrai alla Francia e quella di Barcellona al pontefice, affermando il suo dominio anche in Italia, e ricevendo, l'anno successivo, la corona ferrea di re d’Italia e la corona imperiale da Papa Clemente VII. L'impero di Carlo V comprendeva gran parte della penisola italiana: Napoli, Palermo, Cagliari, Milano, Genova, Firenze e le capitali dei ducati padani ed era basato su un'idea di pace universale, garantita dal cristianesimo. Napoli perde il ruolo di capitale e decade a quello di provincia, il governo viene affidato ai vicerè spagnoli. Il primo, e il più importante, è certamente Don Pedro da Toledo, che regnò a Napoli per ben vent'anni, dal 1532 al 1553. Don Pedro attuò un vero e proprio piano urbanistico a Napoli: costruì la strada che porta il suo nome, stanziando le truppe spagnole nel quartiere di Montecalvario, in quelli che poi furono chiamati "quartieri spagnoli". Estese la cinta muraria fino al Vomero e a Chiaia, e restaurò alcune tra le fortezze napoletane, come Castel Sant'Elmo, che assunse la forma di stella a sei punte, la stessa che vediamo oggi. A Pedro da Toledo si devono anche l'istituzione del tribunale della Vicaria, che in diciotto anni mise alla forca circa diciottomila furfanti indigeni, e quella dei Monti di Pietà (organismi formati da , che il vicerè instaura per ovviare al problema della moltitudine di usurai ebrei in città. La politica nei confronti dei baroni fu tendenzialmente severa: questi erano stati ridotti a semplici proprietari terrieri, e vivevano spesso di rendita, lontano dai feudi, dissipando il loro patrimonio tra sfarzo e lusso, ma Pedro da Toledo attuò una serie di prammatiche contro di loro, per combattere gli abusi in ambito commerciale e giuridico. Purtroppo, però, la corruzione dilagava anche tra i magistrati, e quindi le azioni punitive dei vicerè spesso non avevano effetto. Criminalità e usura si diffusero facilmente in città. La politica condotta dai vicerè era molto meno severa, inoltre, nei confronti dei propri soldati spagnoli, che instaurarono con la plebe napoletana rapporti di promiscuità, contagiandoli sia dei difetti spagnoli - come turpiloquio e superstizione - che delle malattie. Molti termini di derivazione spagnola nel dialetto napoletano risalgono proprio a questo periodo. Pullularono conventi e chiese, e nonostante il divieto - dal 1566 - di edificare al di fuori delle mura, a causa della smisurata crescita demografica, si formarono dei nuclei abitati a Mergellina, nei Vergini, a Sant'Antonio Abate, all'Avvocata e in altri borghi napoletani. Anche dopo la morte di Pedro da Toledo, in realtà, per Napoli venne un periodo tutt'altro che florido. Nel corso del Seicento fiorirono le arti, con il barocco napoletano e con la presenza di artisti come Cosimo Fanzago e Michelangelo Merisi da Caravaggio a Napoli, ma la plebe visse una situazione di prolungata miseria, aggravata anche dalle numerose epidemie di peste. GuzmánGuzmánNel 1643, per opera del vicerè Ramiro de Guzmán, che sposa la nobildonna Anna Carafa, verranno rese carrozzabili le rampe di Sant'Antonio a Posillipo, collegamento tra la collina e la città bassa, proprio dove si trovava palazzo Donn'Anna, costruito da Cosimo Fanzago per Anna Carafa. Pochi anni dopo, nel 1647, il popolo napoletano, incitato dal giovane Masaniello, si unirà in una rivolta popolare, a causa di una tassa sulla frutta, e quindi su un bene primario. Alla rivolta di Masaniello seguì la terribile peste del 1656, che, oltre a decimare la popolazione, fece nascere, a Napoli, il "culto delle capuzzelle". Il Settecento portò la fine del periodo vicereale e introdusse la dinastia borbonica, che governò fino all'unità d'Italia. Prima dell'arrivo dei Borbone a Napoli vi sarà una parentesi (dal 1707 al 1734) di dominio austriaco, poco significativo per la città. Il seguito lo scopriremo nella prossima puntata...

(Fonte: "La storia di Napoli" di Antonio Ghirelli)

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I Re di Napoli sulla facciata del Palazzo Reale

Oggi inizia una nuova rubrica: i re di Napoli! Le statue dei re di Napoli si trovano sulla Oggi inizia una nuova rubrica: i re di Napoli! Le statue dei re di Napoli si trovano sulla facciata del Palazzo Reale, in piazza del Plebiscito, e furono sistemate lì per volontà di re Umberto I, nel 1888. Il primo re di Napoli è Ruggiero II il Normanno, e a lui, infatti, è dedicata la prima statua, opera di Emilio Franceschi. I normanni verranno inizialmente reclutati dal duca Sergio IV, nel 1027, per liberarsi dalla pressione incalzante dei longobardi. Per ricompensarli, donerà loro una terra, che i normanni chiameranno "Aversa", perché ostile, sia a Napoli che a Capua. Da Aversa si estenderanno a macchia d'olio, fino ad assediare, nel 1130, la città di Napoli. Si tratta di Ruggiero di Sicilia, che sbaraglia gli ultimi fedeli del duca Sergio VIII e nove anni dopo riceve le chiavi della città. L'anno Ruggiero il Normanno fu un re saggio, che però impose un'organizzazione unitaria del regno. Questo non permise alla classe borghese napoletana di rendersi autonoma, e alla città di Napoli di evolversi come libero comune. Durante il regno dei normanni furono costruiti Castel dell'Ovo (residenza ai tempi di Ruggiero il Normanno) e Castel Capuano (Residenza successiva, voluta da Guglielmo I il Normanno, anche per conciliare la necessità di una residenza con quella di un presidio militare). Nella prossima puntata con i re di Napoli parleremo di come il potere passò agli svevi.

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Seconda puntata della rubrica dei #ReDiNapoli Oggi parliamo degli Svevi e in particolare di Federico II di Svevia. La sua statua sulla facciata del palazzo reale di Napoli è un'opera di Emanuele Caggiano. Federico Ruggero di Hohenstaufen entra a Napoli perché discendente per parte di madre dai normanni di Altavilla. Il suo regno è caratterizzato da un governo moralizzatore, i privilegi e le libertà medievali sono soppressi. Federico verrà ostacolato più volte dalla chiesa, ed ebbe persino due scomuniche dal papa Gregorio IX, che lo definiva l'anticristo. Federico riuscì, in ogni caso, ad attuare diverse opere nel regno: a Napoli ricostruì le mura e incrementò i traffici, limitando il potere del suo rappresentante locale, il "compalazzo", al quale affianca una curia composta da cinque giudici e otto notai. Ma la sua opera più grande è sicuramente l'istituzione dello Studio Generale, nel 1224. Si tratta dell'università di Napoli, la prima università laica d'Italia, che prende il nome di Federico II. Il regno degli Svevi finirà nel 1266, con l'arrivo degli angioini . Il passaggio di potere sarà segnato da un evento tragico, che resterà per sempre nella memoria dei napoletani: la decapitazione, nel 1268, in piazza Mercato, di Corradino di Svevia, un ragazzino di soli 14 anni. Ma degli angioini parleremo nella prossima puntata della rubrica! A presto!

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Terza puntata della rubrica dedicata ai #ReDiNapoli ! La terza statua sulla facciata del palazzo reale di Napoli è dedicata a Carlo d'Angiò, ed è un'opera di Tommaso Solari. Il sovrano è rappresentato con un'espressione feroce, e in effetti il suo non era di certo un carattere docile. I napoletani , dopo la morte di Federico II di Svevia, iniziarono a mostrare segni di insofferenza nei confronti dell'impero, si ribellarono contro i governatori e Napoli divenne un libero comune sotto la protezione di Papa Innocenzo IV. La chiesa , approfittando del malcontento popolare, introdusse conventi di francescani e domenicani in città, e si servì proprio del francese Carlo d'Angiò , nel 1266, per eliminare anche le ultime tracce del potere dei ghibellini. Questo avvenne nel 1268, con la decapitazione di Corradino di Svevia in piazza Mercato. La capitale viene trasferita da Palermo a Napoli, nel periodo angioino verranno costruite tantissime chiese a Napoli, come il duomo , San Lorenzo, Sant'Eligio, Santa Chiara, San Domenico, e il rapporto dei napoletani con la religione verrà consolidato, diffondendo però nella popolazione anche bigotteria e superstizione. Scultori come Tino da Camaino e pittori come Giotto e Simone Martini verranno a Napoli a lavorare nei luoghi di culto. Fiorì anche l'edilizia civile, con la costruzione del Castel Nuovo, che divenne la nuova residenza reale degli angioini , e del Castel Sant'Elmo. Le classi medie della città tardano ad emergere. Carlo accentua la componente feudale, le esigenze dei ceti più bassi della popolazione non trovano alcun rappresentante ai piani alti. Il malcontento porterà, nel 1282, alla rivolta dei vespri in Sicilia, che anticiperà il sorgere di una nuova dominazione, quella aragonese , di cui parleremo nella prossima puntata. A Carlo d'Angiò successe Carlo II lo Zoppo, e poi Roberto d'Angiò. Questi portò a corte personalità come Francesco Petrarca, ma alla fioritura delle arti non corrispose una grande capacità governativa. Le imposte erano troppo alte, così come i costi della politica estera. Il brigantaggio, l'Inquisizione, la pestilenza del 1348 e la confusione degli anni successivi alla morte di re Roberto e legati alle due Giovanne accelerarono l'ingresso degli aragonesi in città, che avvenne nel 1442.


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Quarta puntata della rubrica sui #redinapoli !La quarta statua sulla facciata del Palazzo Reale a Napoli è dedicata al re aragonese Alfonso D'Aragona, detto "Il Magnanimo". Si tratta di un'opera di Achille D'Orsi.Come arrivò Alfonso D'Aragona a Napoli? Sul portale di Castel Nuovo, splendida opera di Pietro De Martino dai disegni di Francesco Laurana, è rappresentato l'ingresso trionfale in città di Alfonso, trasportato sul carro della vittoria. Anche nella sala dei fasti aragonesi, la seconda anticamera di Palazzo Reale, troviamo, sugli affreschi del soffitto, la stessa scena.La realtà, però, è leggermente diversa. Alfonso D'Aragona, dopo un lungo assedio alla città di Napoli, si recò da una signora che abitava nella zona "extra moenia", tale "donna Ceccarella", e le promise un vitalizio in cambio di un piccolo favore: permettergli di accedere ai sotterranei napoletani, entrando dal pozzo del giardino. Così fece, e sbucò, attraverso i cunicoli dell'acquedotto, all'interno delle mura. Il suo ingresso a Napoli, dunque, fu tutt'altro che trionfale, e più simile a quello di un topo di fogna. Durante il regno di Alfonso fiorì la politica estera, Napoli era il centro del vasto dominio mediterraneo. Si sviluppò la produzione della lana e della seta. Al contempo, arte e letteratura vissero un momento particolarmente florido. Basti pensare a personaggi quali il Panormita e Giovanni Pontano, o come il Pinturicchio e il Perugino, che lavorarono a Napoli in quest'epoca. La politica di Alfonso però fu orientata a favorire i baroni e eliminò il seggio del popolo; inoltre il sovrano era molto religioso - pensate che si vantava di aver letto la Bibbia per intero ben quaranta volte - e ricercò una devota alleanza con il pontefice romano, anche per sconfiggere angioini e turchi.Lo sfarzo e il lusso delle feste compromettevano la situazione economica del regno, e il favore di Alfonso continuava a propendere verso baroni e feudatari, ai quali egli concesse diversi favori, sentendosi ricattato dalla minaccia di ribellioni. I feudatari facevano da padroni nelle campagne, agivano con prepotenza, e questo provocava lo sdegno dei mercanti provenienti dalle altre zone d'Italia che visitavano il regno. Lo sviluppo della marina restò praticamente fermo, in epoca aragonese. Ad Alfonso il Magnanimo seguì Ferrante, che cercò di conquistare la fiducia dei napoletani con una politica tesa alla promozione culturale e urbanistica della città, pur essendo un uomo indifferente alla cultura. Ferrante si dedicò allo sviluppo dell'artigianato , chiamando a corte da tutta Italia i maggiori setaioli, orafi e cuoiai, e cinse Napoli con ventidue torri cilindriche, la bonificò e migliorò l'amministrazione della giustizia. Contro di lui, però, cospirarono i baroni, che, motivati dall'inasprimento delle imposte, si riunirono nella famosa congiura, nel 1485. Ferrante li scoprì e li fece giustiziare o li mandò in esilio in Francia l'anno seguente.Il dominio aragonese era, in quegli anni, minato dalla grandi potenze europee, che si contendevano il territorio italiano. Dopo la morte di Ferrante, la corona passò in pochi anni ad Alfonso II e poi a Ferrantino, venne poi minacciata da Carlo VIII, Re di Francia, facente parte della casata degli angioini, chiamato in aiuto in Italia da Ludovico il Moro. Scansata la minaccia francese, Ferrantino venne richiamato, e dopo di lui la corona andò ancora a Federico III, l'ultimo degli aragonesi, che provò a governare con intelligenza e cautela.Il dominio aragonese a Napoli terminerà, però, nel 1503, quando Ferdinando il Cattolico conquisterà il regno grazie a Don Consalvo de Cordoba, e Napoli verrà ridotta a una provincia periferica nell'impenso impero spagnolo.Ma di questo parleremo nella prossima puntata...

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Quinta puntata della rubrica sui #redinapoli! La quinta statua sulla facciata del palazzo reale di Napoli è dedicata a Carlo V ed è opera di Vincenzo Gemito. Carlo ereditò nel 1506 il regno di Castiglia e delle terre del Nuovo Mondo dal padre Filippo d'Asburgo il Bello,  arciduca d’Austria e signore dei Paesi Bassi. Carlo aveva solo sei anni, all'epoca, e quindi il regno verrà amministrato dal nonno materno, Ferdinando il Cattolico, fino al compimento della maggiore età.  Il 28 giugno 1519 venne eletto Sacro Romano Imperatore con il nome di Carlo V e nel 1529, dopo la battaglia di Pavia e il sacco di Roma, impose la pace di Cambrai alla Francia e quella di Barcellona al pontefice, affermando il suo dominio anche in Italia, e ricevendo, l'anno successivo, la corona ferrea di re d’Italia e la corona imperiale da Papa Clemente VII. L'impero di Carlo V comprendeva gran parte della penisola italiana: Napoli, Palermo, Cagliari, Milano, Genova, Firenze e le capitali dei ducati padani ed era basato su un'idea di pace universale, garantita dal cristianesimo. Napoli perde il ruolo di capitale e decade a quello di provincia, il governo viene affidato ai vicerè spagnoli. Il primo, e il più importante, è certamente Don Pedro da Toledo, che regnò a Napoli per ben vent'anni, dal 1532 al 1553. Don Pedro attuò un vero e proprio piano urbanistico a Napoli: costruì la strada che porta il suo nome, stanziando le truppe spagnole nel quartiere di Montecalvario, in quelli che poi furono chiamati "quartieri spagnoli". Estese la cinta muraria fino al Vomero e a Chiaia, e restaurò alcune tra le fortezze napoletane, come Castel Sant'Elmo, che assunse la forma di stella a sei punte, la stessa che vediamo oggi. A Pedro da Toledo si devono anche l'istituzione del tribunale della Vicaria, che in diciotto anni mise alla forca circa diciottomila furfanti indigeni, e quella dei Monti di Pietà (organismi formati da , che il vicerè instaura per ovviare al problema della moltitudine di usurai ebrei in città. La politica nei confronti dei baroni fu tendenzialmente severa: questi erano stati ridotti a semplici proprietari terrieri, e vivevano spesso di rendita, lontano dai feudi, dissipando il loro patrimonio tra sfarzo e lusso, ma Pedro da Toledo attuò una serie di prammatiche contro di loro, per combattere gli abusi in ambito commerciale e giuridico. Purtroppo, però, la corruzione dilagava anche tra i magistrati, e quindi le azioni punitive dei vicerè spesso non avevano effetto. Criminalità e usura si diffusero facilmente in città. La politica condotta dai vicerè era molto meno severa, inoltre, nei confronti dei propri soldati spagnoli, che instaurarono con la plebe napoletana rapporti di promiscuità, contagiandoli sia dei difetti spagnoli - come turpiloquio e superstizione - che delle malattie. Molti termini di derivazione spagnola nel dialetto napoletano risalgono proprio a questo periodo. Pullularono conventi e chiese, e nonostante il divieto - dal 1566 - di edificare al di fuori delle mura, a causa della smisurata crescita demografica, si formarono dei nuclei abitati a Mergellina, nei Vergini, a Sant'Antonio Abate, all'Avvocata e in altri borghi napoletani. Anche dopo la morte di Pedro da Toledo, in realtà, per Napoli venne un periodo tutt'altro che florido. Nel corso del Seicento fiorirono le arti, con il barocco napoletano e con la presenza di artisti come Cosimo Fanzago e Michelangelo Merisi da Caravaggio a Napoli, ma la plebe visse una situazione di prolungata miseria, aggravata anche dalle numerose epidemie di peste. GuzmánGuzmánNel 1643, per opera del vicerè Ramiro de Guzmán, che sposa la nobildonna Anna Carafa, verranno rese carrozzabili le rampe di Sant'Antonio a Posillipo, collegamento tra la collina e la città bassa, proprio dove si trovava palazzo Donn'Anna, costruito da Cosimo Fanzago per Anna Carafa. Pochi anni dopo, nel 1647, il popolo napoletano, incitato dal giovane Masaniello, si unirà in una rivolta popolare, a causa di una tassa sulla frutta, e quindi su un bene primario. Alla rivolta di Masaniello seguì la terribile peste del 1656, che, oltre a decimare la popolazione, fece nascere, a Napoli, il "culto delle capuzzelle". Il Settecento portò la fine del periodo vicereale e introdusse la dinastia borbonica, che governò fino all'unità d'Italia. Prima dell'arrivo dei Borbone a Napoli vi sarà una parentesi (dal 1707 al 1734) di dominio austriaco, poco significativo per la città. Il seguito lo scopriremo nella prossima puntata...

(Fonte: "La storia di Napoli" di Antonio Ghirelli)

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